Il presente sito web utilizza "cookie" per migliorare comunicazione e navigazione. Continuando a visitarlo, accetti le condizioni sull'utilizzo dei cookie.    x

Dr. Mario Nicolosi Specialista in Ortopedia e Traumatologia Specialista in Fisiatria



Rigidità della spalla

Per meglio inquadrare il problema della rigidità postraumatica della spalla bisogna identificare i meccanismi che la determinano.

1) Retrazione capsulo-legamentosa

2) Deformità ossee

3) Alterazioni del piano muscolo tendineo

Tale distinzione è importante non solo da un punto di vista puramente nosologico ma soprattutto perché da questa suddivisione scaturisce una corretta impostazione terapeutica.

Nel primo caso ci possiamo trovare, infatti, di fronte a una rigidità dovuta a retrazione capsulare prodotta da una frattura o da una lussazione, o davanti ad una spalla congelata.

Nella seconda eventualità possiamo imbatterci in artrosi postraumatiche, fratture intrarticolari, lussazioni inveterate.

La terza causa è data dalle fratture scapolari o costali.

Per ognuna di queste causa va, comunque, fatta una attenta valutazione distinguendo se la rigidità è prodotta veramente da cause anatomiche (rigidità meccanica) o se non sia dovuta ad immobilizzazione, incompleto recupero funzionale, disuso, insufficiente partecipazione alla terapia riabilitativa (rigidità funzionali). Per queste ultime, infatti, è sufficiente un adeguato programma riabilitativo con recupero della forza e della coordinazione muscolare. Per le altre cause si dovrà invece procedere a terapie diverse come la mobilizzazione in narcosi, il catetere intrarticolare, l'artroscopia o l'intervento chirurgico a cielo aperto. La mobilizzazione della spalla è stata utilizzata da Duplay nel 1872 e trova ancora largo impiego tutt'oggi. In tutti quei casi, infatti, in cui non vi sono danni ossei chiaramente responsabili della rigidità, questa metodica trova il suo spazio con buoni risultati che ci sono forniti dalle varie casistiche.

Dal 1991 al 1997 abbiamo trattato 191 rigidità di spalla dovute a retrazione capsuloligamentosa. L'età dei pazienti era compresa dai 38 ai 66 anni. 133 erano femmine, 58 maschi. Il follow-up va dagli 8 ai 18 mesi. 143 erano affetti da capsulite adesiva determinata da cause non traumatiche e 48 da rigidità postraumatica. Per queste ultime il motivo determinante era stato 18 volte una frattura del trochite, 13 volte una lussazione scapolo-omerale, 9 volte una lussazione acromion-claveare, 6 volte una frattura del collo chirurgico e per 2 volte una frattura dell'estremo distale della clavicola.

Per il trattamento abbiamo utilizzato 3 diverse metodiche:

1) Mobilizzazione in anestesia generale

2) Analgesia continua con catetere endoarticolare

3) Mobilizzazione più catetere endoarticolare

Lo scopo dell'introduzione del catetere nell'articolazione scapolo-omerale è quello di interrompere il circolo vizioso dolore-rigidità, di ottenere una distensione meccanica capsulare e di aumentare il flusso ematico regionale. Il catetere che usiamo è quello normalmente adoperato per l'anestesia peridurale continua ed è fornito di un filtro antibatterico. Viene introdotto per via posteriore per mezzo di un ago da 16G e vengono praticati 3 rifornimenti quotidiani di marcaina diluita al 2%. L'effetto anestetico della marcaina pone la spalla del paziente in analgesia consentendogli di eseguire senza dolore gli esercizi di riabilitazione. La pressione con cui si inietta la marcaina distende la capsula (Andren e Lundberg 1965). L'effetto vasodilatatore della marcaina aumenta inoltre il flusso ematico locale combattendo così la " Anossia stagnante compartimentale" ( Curri, Thischendorf e al.) che è responsabile della metaplasia fibrosa capsulare. Da oltre 2 anni abbiamo unito la tecnica della mobilizzazione con quella del catetere endoarticolare: questo ci ha permesso di diminuire i giorni di ricovero.

Dei 48 pazienti affetti da rigidità postraumatica 23 sono stati trattati solo con la mobilizzazione in analgesia, 19 con il catetere endoarticolare e 6 con la tecnica mista mobilizzazione più catetere. I risultati sono stati valutati ritenendo ottimi quelli in cui la motilità della scapolo-omerale raggiungeva un'abduzione compresa tra i 90° e i 100°, buoni quelli in cui l'abduzione andava dai 70° agli 89°, discreti dai 60° ai 69° e cattivi quelli in cui l'abduzione era inferiore ai 60°. I risultati migliori si sono avuti con la tecnica mista della mobilizzazione più catetere in quanto gli ottimi e buoni sono stati complessivamente l'83%, Dalla revisione della nostra casistica si può concludere che la mobilizzazione in anestesia generale ha ancora un ruolo fondamentale per le rigidità postraumatiche e che i ulteriori vantaggi si possono ottenere unendo questa tecnica alla analgesia continua con catetere endoarticolare. Quest'ultima da sola, invece, non è indicata per le rigidità postraumatiche ma trova la sua più efficace utilizzazione per le capsuliti adesive.

La terapia chirurgica, sia artroscopica che a cielo aperto, deve essere intrapresa, a nostro avviso, solo dopo il fallimento del trattamento conservativo.